La fondazione della chiesa dello Spirito Santo risale all’anno 1553, quando la famiglia nobiliare dei Cossa o Coscia donò alla nascente Confraternita, fondata da marinai e pescatori del borgo di Celsa, la cappella medioevale dedicata a Santa Sofia. Inizialmente i marinai ne presero possesso limitandosi a restaurarla. Nel 1614 i confratelli dello Spirito Santo decisero la costruzione di un campanile presso la sacrestia. Dopo molte e forzate interruzioni, terminato il campanile, opera del mastro costruttore Giuseppe De Alibato, nel 1636 si decise l’ampliamento e la rifondazione della struttura medioevale, per rispondere alle esigenze dei fedeli diventati più numerosi. Venne acquistato il terreno adiacente all’antico fabbricato della chiesa dello Spirito Santo che verrà ad addossarsi alla neo-nata congrega di Santa Maria di Costantinopoli, che fu realizzata nel 1613. La facciata della chiesa dello Spirito Santo si presenta scarna di decorazioni con il portale d’ingresso sormontato da una finestra trilobata. Il portone e il portale in piperno sono quelli originali, che inizialmente situati nel vicolo al lato, sono stati successivamente spostati a formare un nuovo ingresso nella strada più nobile.

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È opportuno ricordare che prima dei lavori terminati nel 1675, la chiesa era in posizione trasversale rispetto all’orientamento attuale. Infatti Santa Sofia si sviluppava in direzione est-ovest,mentre lo Spirito Santo aveva uno sviluppo da nord a sud. A destra dell’ingresso principale c’è una targa in ricordo della consacrazione della chiesa da parte del Vescovo De Laurentiis, avvenuta nel 1934. La chiesa ha una pianta a croce latina con transetto e abside profonda, tre altari per ogni lato, e tra la prima e la seconda cappella a sinistra un ingresso secondario con una piccola rampa di scale, sul lato destro è visibile l’ingresso alla sagrestia. Particolare la conformazione dei muri perimetrali a sostegno delle arcate, i quali si rastremano verso l’alto e sono inclinati verso l’interno, mentre nella parte inferiore protendono completamente verso l’esterno. Per resistere alla spinta dell’arco della volta i muri perimetrali si elevano ben oltre gli archi, diventando dei veri e propri contrafforti. Nel 1814 in occasione del restauro dell’organo, risalente al 1760, venne sistemata la cantoria con l'inserimento di due colonne poste sotto l’organo. Nella cupola sita tra navata e transetto è visibile l'affresco raffigurante "San Giovan Giuseppe in Gloria", realizzato dal pittore locale Luigi Taglialatela nel 1934. La sagrestia, restaurata nel 1801, presenta una volta composta da quattro vele e un’ampia chiave al centro. Il campanile diviso in più piani termina con un coronamento a pera, rivestito di maioliche, applicate tra il 1769 e il 1772, durante i lavori di restauro.

L’altare maggiore in marmi policromi è opera di collaborazione tra il napoletano Bastelli e un ignoto scultore, autore anche dei cherubini che impreziosiscono i due capialtari e del ciborio d’argento incastonato nel marmo. Sulle pareti dell’abside sono presenti rilievi in stucco modellato, rappresentanti San Giovanni Evangelista, S. Matteo apostolo, Sant’Andrea e San Giacomo, realizzati nel 1768 da Cesare Starace, valente stuccatore napoletano attivo in diverse chiese dell’isola. Dal 25 settembre 1789 la chiesa dello Spirito Santo è divenuta il centro del culto a San Giovan Giuseppe della Croce. Nato ad Ischia nel 1654 con il nome di Carlo Gaetano, ben presto lasciò l’isola e divenne un frate alcantarino, un ramo dei francescani. Fu molto amato dal popolo ma anche dai dotti che gli affidarono importanti mansioni. Morì a Napoli, nel convento di Santa Lucia al Monte il 5 marzo 1734. La diocesi di Ischia non fu coinvolta direttamente nelle varie fasi del processo di beatificazione, perché questi non era vissuto sull'isola. Il suo pensiero si racchiude in questa frase: “Anche se non esistesse nè paradiso nè inferno io amerei comunque Dio perché lo merita”. L'altare a lui dedicato, è databile al 1789, anno in cui giunsero a Ischia le reliquie del Beato. Le note di spesa riconducono il lavoro a G. Cesario.